Da oggi mi trovate qui!
L'ITALIA CAPOVOLTA
Esercitare liberamente il proprio intelletto, ecco la vera felicità
venerdì 7 settembre 2012
giovedì 30 agosto 2012
Dei delitti e delle pene (e delle carceri)
di Un Luigi qualunque
La storia
che in Italia nessuno va in galera è una balla colossale.
Ad oggi i
detenuti nelle patrie galere sono circa 67.444 e il dato è in continua crescita.
Il problema
del sovraffollamento è gravissimo: celle concepite per ospitare due detenuti, utilizzate
per 4/6 persone, con ovvi problemi di spazio e igiene.
Il sovraffollamento
delle strutture rende gravosissimo ed esasperante anche il lavoro del personale
(agenti di custodia, medici) dell’amministrazione penitenziaria: gli
agenti, ad esempio, sono in numero insufficiente per gestire il gran numero di detenuti e i
loro umori causati dalle condizioni di
vita, con gravi problemi di ordine interno, e livelli di stress altissimi. Problemi che lamentano da tempo.
Quindi, un
doppio problema: da una parte, detenuti che alla sanzione della privazione
della libertà personale vedono aggiungersi quella accessoria della perdita
della dignità, poiché costretti a vivere come bestie, nell’ozio più totale
quando non si trovano nelle rare strutture di eccellenza. (Vedi ad esempio Bollate).
Dall’altra, la
Polizia penitenziaria e altro personale a supporto è costretto a turni
massacranti, compiti fuori dalle normali competenze, il tutto per garantire la
vita regolare e dignitosa dei detenuti.
Quello della
situazione carceraria italiana è talvolta considerato un tema secondario:
troppo spesso si considera come dovuto il surplus
di sofferenza inflitta al detenuto e a catena, al personale di servizio: buttare via la chiave è la frase di
rito; ma il recupero di un detenuto è qualcosa che può giovare al sistema
paese: per ciò che viene commesso, è sacrosanta la detenzione quando prevista
dalla legge; ma il recupero sociale è altrettanto fondamentale: che forze
fisiche e intellettuali si perdano perchè non recuperate, è un aspetto negativo, per tutti. Il momento del
carcere come fondamentale retribuzione per il torto causato, deve essere l’occasione
per il recupero di quelle forze che poi potranno essere iniettate nel sistema
paese, per il bene di tutti. Ciò non può accadere in strutture sovraffollate,
dove le attività di base della vita dormire – mangiare – lavarsi è
difficoltosa, figuriamoci se è possibile attivare percorsi di rieducazione
adeguati.
Senza
considerare che la situazione di malessere dei detenuti si riflette anche sul
personale, a sua volta comunque rinchiuso, per le ore del servizio, fianco a
fianco con i detenuti.
È di queste
ore la notizia dell’ennesimo suicidio di
un detenuto, il 36esimo dall’inizio del 2012: tantissimi casi ogni anno, da
qualche tempo anche tra gli agenti della polizia penitenziaria, a contatto con
tali situazioni di stress. Non è accettabile, in uno paese civile e di diritto, che lo
Stato stesso con la sua inerzia agisca quasi come un aguzzino, come quei
criminali che intende perseguire, creando le condizioni che determinano tale
esasperazione e male di vivere, precondizioni di gesti estremi.
La pena è
fondamentale e non è qui messa in dubbio; che il carcere in quanto tale
determini delle reazioni di disagio come qualsiasi condizione di privazione
della libertà personale appare fisiologico; ma non è concepibile che il periodo
di detenzione sia anche un periodo di disumanizzazione, con effetti catastrofici sulla
salute dei detenuti, creando anche effetti criminogeni che inficiano il
percorso rieducativo, con il risultato finale di restituire alla società, a
fine pena, potenziali recidivi: più sicuro ma più difficil mezzo di
prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione scriveva Cesare Beccaria nel suo Dei
Delitti e Delle Pene. Parole sacrosante, ma la cui attuazione richiede impegno e serietà.
Inoltre, il
reinserimento è reso anche complesso per l’ostilità che gli ex detenuti trovano uscendo di carcere, da parte di una collettività non pronta ad accogliere chi ha sbagliato, certamente, ma ha anche
pagato, però.
Insomma la
pena non deve essere una violenza contro un cittadino, che chiaramente ha
commesso degli errori e deve sottoporsi ad una sacrosanta detenzione: ma la sua condanna
riguarda i suoi comportamenti e non la persona in quanto tale, che va sempre tutelata: in un Stato di diritto non esiste la tortura, la
vendetta; la differenza con i criminali deve essere anche culturale: si applica
una sanzione prevista da una legge e non la legge del taglione, perché in
quanto cittadini intendiamo marcare anche una differenza culturale con chi
delinque, con chi fa del male; per le stesse ragioni, si garantisce la dignità di chi ha sbagliato
ed è affidato all’attenzione e alla custodia di strutture pubbliche, allorché
punitive.
Se siamo diversi dai soggetti che intendiamo
perseguire, come Stato - comunità, è il caso non solo di comportarci
diversamente da chi non approviamo, perché mette in atto comportamenti
illegali, ma è necessario anche pensare
diversamente, cominciando a non tollerare o appoggiare comportamenti e
condizioni che sembrano più da aguzzino che da legittimo persecutore.
domenica 19 agosto 2012
Londra 2012: le medaglie italiane sono 29
di Lettera22
La meraviglia Olimpica si è confermata anche a Londra. Poco meno di 20 giorni pieni di
sport, d’agonismo, di competizione, di sudore, impegno, concentrazione, di
emozioni. Tutto per una medaglia, per salire sul podio e poter indossare al
collo una medaglia olimpica. Magari dopo anni di allenamenti, contro avversari
provenienti da qualsiasi parte del mondo. Perché le Olimpiadi hanno quel fascino particolare.. quello che ti tiene
incollato al televisore a seguire uno sport del quale nemmeno sapevi
l’esistenza, a tifare un’atleta del quale non conosci nemmeno il nome. Ti
prende, ti seduce, conquista la tua attenzione.. e poi ti abbandona.. ti saluta
e ti da appuntamento a fra 4 anni. Succede ogni volta, ed ogni volta ha un
fascino particolare. L’Olimpiade appena conclusa è stata un grande, grandissimo
evento di sport. Gli atleti partecipanti sono stati 10.973 (6.113 uomini e 4.860 donne), in rappresentanza delle 205 nazioni partecipanti. In mezzo a
questi numeri un’eterogeneità di storie incredibile, si va dai 530 atleti statunitensi ai 380 atleti cinesi, dai 542 atleti del Regno Unito ai 290 atleti italiani fino ad arrivare ai
4 Atleti Olimpici Indipendenti, i 2 atleti del Bhutan, i 2 della Guinea equatoriale, i 3 del Malawi… Insomma, persone diverse,
con storie diverse, provenienti da ogni parte del mondo, a competere tutti
sullo steso piano per la stessa medaglia. L’atleta del paese più ricco contro
l’atleta del paese più povero, la colonia contro il Paese conquistatore,
l’atleta cristiano contro il musulmano, tutti a sudare allo stesso modo per la
stessa medaglia. Perché in fondo lo sport, nella storia, è sempre stato il
veicolo più efficace per messaggi di uguaglianza di fratellanza, di
solidarietà. Molto di più di qualsiasi azione diplomatica.
Sono state Olimpiadi bellissime, sono state le olimpiadi di 44 nuovi record mondiali, di 117 nuovi record olimpici. Sono state le olimpiadi degli Stati Uniti, primi nel medagliere con 104 medaglie (46 d’oro, 29 d’argento, 29 di bronzo), che portano il bottino delle medaglie statunitensi nella storia dei giochi olimpici a 2.411, più di chiunque altro.
Tra gli atleti statunitensi una menzione merita Michael Phelps, l’atleta più medagliato di queste olimpiadi con 6 medaglie, ed il più medagliato nella storia dei giochi con ben 22 medaglie.
Un’altra menzione, inevitabile, va all’uomo immagine di queste olimpiadi, Usain Bolt, medaglia d’oro nei 100 mt, nei 200 mt e nella staffetta 4x100, fenomenale nel riuscire a conquistare 3 ori in alcune delle discipline più attese, ma ancor di più nel riuscire a ripetersi ed a confermarsi dopo i 3 ori nelle stesse specialità Pechino 2008.
Sono state Olimpiadi bellissime, sono state le olimpiadi di 44 nuovi record mondiali, di 117 nuovi record olimpici. Sono state le olimpiadi degli Stati Uniti, primi nel medagliere con 104 medaglie (46 d’oro, 29 d’argento, 29 di bronzo), che portano il bottino delle medaglie statunitensi nella storia dei giochi olimpici a 2.411, più di chiunque altro.
Tra gli atleti statunitensi una menzione merita Michael Phelps, l’atleta più medagliato di queste olimpiadi con 6 medaglie, ed il più medagliato nella storia dei giochi con ben 22 medaglie.
Un’altra menzione, inevitabile, va all’uomo immagine di queste olimpiadi, Usain Bolt, medaglia d’oro nei 100 mt, nei 200 mt e nella staffetta 4x100, fenomenale nel riuscire a conquistare 3 ori in alcune delle discipline più attese, ma ancor di più nel riuscire a ripetersi ed a confermarsi dopo i 3 ori nelle stesse specialità Pechino 2008.
Sono state 18 le
nazioni che hanno vinto una sola medaglia e che meritano anch’esse di essere menzionate: Algeria,
Bahamas, Grenada, Uganda, Venezuela, Botswana, Cipro, Gabon, Guatemala,
Montenegro, Portogallo, Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrain, Hong Kong,
Kuwait, Marocco, Tagikistan.
L’Italia alla fine dei giochi si è posizionata all’8° posto del medagliere, con 8 medaglie d’oro, 9 argenti e 11 bronzi,
per un totale di 28 medaglie.
Per quanto riguarda le medaglie d’oro la parte del leone è stata fatta dai c.d. “sport di precisione”, quali tiro con l’arco (Michele Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli), tiro a segno (Niccolò Campriani) e tiro a volo (Jessica Rossi). La scuola italiana di scherma non ha deluso né in campo femminile né in campo maschile (Elisa di Francisca, Arianna Errigo, Valentina Vezzali, Ilaria Salvatori, Valerio Aspromonte, Andrea Baldini, Giorgio Avola e Andrea Cassarà). Medaglie d’oro, infine, anche per Daniele Molmenti nella canoa e per Carlo Molfetta nel Taekwondo.
Per quanto riguarda le medaglie d’oro la parte del leone è stata fatta dai c.d. “sport di precisione”, quali tiro con l’arco (Michele Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli), tiro a segno (Niccolò Campriani) e tiro a volo (Jessica Rossi). La scuola italiana di scherma non ha deluso né in campo femminile né in campo maschile (Elisa di Francisca, Arianna Errigo, Valentina Vezzali, Ilaria Salvatori, Valerio Aspromonte, Andrea Baldini, Giorgio Avola e Andrea Cassarà). Medaglie d’oro, infine, anche per Daniele Molmenti nella canoa e per Carlo Molfetta nel Taekwondo.
Al medagliere dell’Italia manca sicuramente una medaglia, la
29° - indiscutibilemte d’oro – che appartiene non ad un atleta in particolare,
ma a tutti gli sportivi da divano e, soprattutto, da bar: la medaglia d’oro nel
gioco al massacro. Questa
particolare competizione ha visto gli italiani partecipi in 2 occasioni: contro
la squadra azzurra del nuoto ed in particolare contro Filippo Magnini e
Federica Pellegrini ed, in secondo luogo, contro Alex Schwazer.
Si sa… l’italiano medio è sempre in prima fila quando si
tratta di fare “chiacchere da bar”. Ovvero quelle situazioni in cui un pensiero
superficiale e populista, di quelli che ti fanno sentir dire “bè hai ragione”,
prendono il sopravvento. Mai le chiacchere da bar hanno una connotazione
positiva.. è sempre più difficile argomentare le lodi di qualcuno piuttosto che
argomentare gli insulti rivolti a qualcuno, specialmente se quel qualcuno è in
una situazione di difficoltà. Ed allora poco importa se la Pellegrini e Magnini
vantano insieme qualcosa come 7 ori, 3 argenti e 1 bronzo tra olimpiadi e
mondiali. La loro storia d’amore è una motivazione abbastanza valida per fare
della facile ironia su dei risultati non troppo brillanti a Londra 2012. Senza
dimenticare che non sono stati solo loro due a non raggiungere i risultati
sperati, ma tutta la squadra azzurra ha completamente deluso. Forse Magnini
aveva ragione a dire che la preparazione è stata sbagliata? No, no.. disquisire
di preparazione è troppo tecnico e noioso, è più facile e divertente
nell’ambiente “da bar” spiegare i mancati risultati con la loro relazione.
Discorso un po’ diverso è quello di Schwazer. Ha provato ad imbrogliare ed ha deluso tutti, i suoi tifosi, i suoi cari, i suoi genitori, il suo allenatore, la sua fidanzata, ma soprattutto sé stesso. Anche qui il qualunquismo ed il populismo l’hanno fatta da padrone. In pochi secondo me, dopo aver appurato la sua positività alle sostanze dopanti, hanno speso 15 minuti della loro vita ad ascoltare ciò che aveva da dire a riguardo di questa triste storia. L’immagine di Schwazer che è uscita dalla conferenza stampa è l’immagine di un ragazzo debole, non di un supereroe atleta invincibile disposto a tutto pur di ottenere una medaglia. Sembrava più che altro un ragazzo che non è stato in grado di reggere le pressioni che aveva addosso e che lui stesso ha contribuito a creare. Ben presto il peso del suo imbroglio lo ha sotterrato, tanto da autocondannarsi effettuando un test antidoping pur sapendo di essere positivo, quando (regolamento alla mano) poteva evitare il test stesso. Si è consegnato alla giustizia sportiva e, in un secondo momento, si è presentato in sala stampa, mettendo la faccia davanti al suo errore. L’errore resta, ma errare fa parte della natura umana. Gli organi preposti saranno chiamati a giudicarlo ed ad infliggergli la giusta pena.
Io da persona civile e razionale non posso che rispettare l’uomo nella sua umanità, non posso che rispettare il ragazzo che, evidentemente, ha dei problemi e che è caduto in errore. Non me la sento di puntare il dito contro di lui, perché il dito contro se lo è puntato da solo, ed è stato il gesto più importante.
Infine, non dimentichiamo che se la Pellegrini o Magnini avessero portato a casa delle medaglie, o se Schwazer fosse riuscito ad eludere i controlli ed avesse ripetuto l’impresa di Pechino, vincendo un nuovo oro olimpico, negli stessi bar dove sono stati demoliti, questi ragazzi probabilmente sarebbero stati osannati come dei Campioni veri.
Discorso un po’ diverso è quello di Schwazer. Ha provato ad imbrogliare ed ha deluso tutti, i suoi tifosi, i suoi cari, i suoi genitori, il suo allenatore, la sua fidanzata, ma soprattutto sé stesso. Anche qui il qualunquismo ed il populismo l’hanno fatta da padrone. In pochi secondo me, dopo aver appurato la sua positività alle sostanze dopanti, hanno speso 15 minuti della loro vita ad ascoltare ciò che aveva da dire a riguardo di questa triste storia. L’immagine di Schwazer che è uscita dalla conferenza stampa è l’immagine di un ragazzo debole, non di un supereroe atleta invincibile disposto a tutto pur di ottenere una medaglia. Sembrava più che altro un ragazzo che non è stato in grado di reggere le pressioni che aveva addosso e che lui stesso ha contribuito a creare. Ben presto il peso del suo imbroglio lo ha sotterrato, tanto da autocondannarsi effettuando un test antidoping pur sapendo di essere positivo, quando (regolamento alla mano) poteva evitare il test stesso. Si è consegnato alla giustizia sportiva e, in un secondo momento, si è presentato in sala stampa, mettendo la faccia davanti al suo errore. L’errore resta, ma errare fa parte della natura umana. Gli organi preposti saranno chiamati a giudicarlo ed ad infliggergli la giusta pena.
Io da persona civile e razionale non posso che rispettare l’uomo nella sua umanità, non posso che rispettare il ragazzo che, evidentemente, ha dei problemi e che è caduto in errore. Non me la sento di puntare il dito contro di lui, perché il dito contro se lo è puntato da solo, ed è stato il gesto più importante.
Infine, non dimentichiamo che se la Pellegrini o Magnini avessero portato a casa delle medaglie, o se Schwazer fosse riuscito ad eludere i controlli ed avesse ripetuto l’impresa di Pechino, vincendo un nuovo oro olimpico, negli stessi bar dove sono stati demoliti, questi ragazzi probabilmente sarebbero stati osannati come dei Campioni veri.
Ed allora sì.. le medaglie italiane non sono 28… sono 29.
mercoledì 15 agosto 2012
L’Articolo 21 della Costituzione vale anche per i magistrati?
di Un Luigi qualunque
E’ di queste settimane la notizia che a carico
del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta il Dottor Roberto
Scarpinato, è stata aperta presso il CSM una pratica per il suo trasferimento d’ufficio
e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di
presidenza del CSM alla Procura generale presso la Corte di Cassazione per
eventuali iniziative disciplinari. Il tutto a seguito di
un suo intervento pubblico, nel corso delle celebrazioni in ricordo della
strage di Via D’Amelio
Il
Procuratore ha richiamato, in una lettera a Paolo Borsellino, le responsabilità
di chi ipocritamente celebrea i magistrati antimafia ma poi, a vario titolo e in vario modo, fa del male, a suo parere, al Paese,
con comportamenti e azioni così diverse da quelle di Paolo Borsellino e altri
uomini che servendo lo Stato hanno posto il loro interesse dopo quello della
collettività.
Ancora una volta il tema della libertà di
espressione torna alla ribalta, in particolare quando a parlare è un
magistrato. E non poco rovente, come al solito, il dibattito che ne è
scaturito; e non pochi colororo che hanno strumentalizzato la questione.
La critica, il dibattito non si è focalizzato
sul merito dell’intervento di Scarpinato, nei confronti del quale ciascuno trae le proprie
riflessioni e conclusioni, la polemica si è focalizzata sull’opportunità o
meno, e per ciò solo, di fare certe considerazioni.
Forse è strano considerare che la libertà di
espressione possa valere per tutti, criminali, nemici, amici... e anche per i
magistrati? essere magistrato contiene un inevitabile rinuncia o limitazione di
certi diritti?
Si dice in questi casi è una ragione di opportunità, il magistrato deve essere imparziale e
sembrare imparziale; certo, ma un magistrato è un cittadino che parla e
pensa come chiunque altro, che ha delle idee e le manifesta con i più diversi
strumenti, come qualsiasi altro cittadino. Cosa diversa sono le idee e
considerazioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni, nell’espletamento
delle quali il magistrato parla per
mezzo degli atti che emette (tipizzati dal codice di rito): è quello lo
strumento con il quale il magistrato comunica nell’esercizio delle sue funzioni
ed è attraverso tali atti che i cittadini verificano l’imparzialità, la chiarezza,
la perizia tecnica e scientifica del magistrato. Come di solito è fatto per
qualsiasi professionista: che il proprio medico di famiglia abbia idee
reazionarie o progressiste poco interessa; ciò che ci si aspetta da lui è che
sia scientificamente preparato e che i suoi atti (prescrizioni, diagnosi, ecc)
siano corrette.
I magistrati come chiunque altro cittadino
hanno diritto di esprimersi come meglio ritengono, ex art. 21 Cost e nei limiti
dei diritti altrui, come accade per chiunque, esponendosi alla critica
nell’ambito della normale dialettica democratica.
L'idea che essere magistrati possa voler
significare avere un po’ meno libertà di espressione (autoimposta o non) francamente
non convince.
La magistratura in quanto tale è assolutamente criticabile, come chiunque e qualsiasi cosa lo è in democrazia: ma la critica, la discussione deve avvenire nel merito delle cose, argomentando i punti di vista; se si riduce a critica "di principio" è poco seria, è poco credibile.
La politica, una certa politica, che come al
solito non si lascia sfuggire l’occasione per critiche e censure, pare ricadere
nella solita cattiva fede: i magistrati sono bravi e ligi al dovere quando si occupano degli altri; diventano pericolosi
e sovversivi quando parlano, si occupano, indagano, riflettono, su (certi)
colletti bianchi.
venerdì 27 luglio 2012
Il Caimano tecnico
di Un Luigi qualunque
Nelle ultime settimane il Cav ha manifestato la volontà di scendere in campo (ma era andato via?),
presentandosi come candidato del c.d. centro destra. La notizia sorprende,
soprattutto alla luce dei risultati precedenti : i Governi Berlusconi non
hanno prodotto in tanti anni quella rivoluzione e innovazione dello Stato che
era stata promessa
Indipendentemente dai giudizi personali, è politicamente che il Cav ha
fallito. Serenamente, si potrebbero trarre le opportune conseguenze: è il
momento di fare un passo indietro, di fare spazio, a maggior ragione in un
periodo in cui tutti si riempiono la bocca con lo slogan largo ai giovani , appare difficile comprendere come può un
74enne guidare ancora il Paese, come può un 74enne progettare adeguatamente un
futuro che, per ragioni anagrafiche, non vedrà.
Per il PDL un’altra occasione persa: i programmi di Alfano, da meno di un
anno nominato segretario politico del partito, sono andati in fumo. In questi
mesi si è discusso delle primarie,dei congressi, della democrazia interna e
poi, con un comunicato stampa , i titoli di LIBERO e IL GIORNALE, le dichiarazioni
dei fedelissimi, tutto è stato spazzato via in un attimo, mettendo da parte il
segretario per fare largo al capo.
Un’altra occasione persa per trasformare il PDL, da partito
carismatico, a moderno partito conservatore
europeo. Eppure sui buoni propositi di Angelino non ho dubbi: l’intenzione di cambiare le cose c’era, ma l’abitudine
ad avere il capo chino nel PDL, ad assecondare il capo sempre e comunque, a non
contrastarlo con un sano contraddittorio (come si fa con i veri amici) hanno
fatto perdere un’altra occasione
Le intenzioni di B sono chiare; nella sua scelta c’è la consapevolezza che
senza di lui il PDL subirebbe una sonora batosta alle prossime elezioni
politiche ; ecco il perché del suo intervento: la possibilità di recuperare
qualche punto percentuale, ma non per vincere: nel partito sanno che questa non è una prospettiva concreta; lo scopo è non perdere, riuscire a recuperare qualche voto così da essere nelle condizioni di
partecipare ad un nuovo Governo di larghe intese, un nuovo governo tecnico,unica alternativa nel caso il risultato delle urne delineasse uno scenario
politico frammentato e senza una forte maggioranza in grado di esprimere un
Governo; questo è lo scopo, risultare diversamente vincente, essere ancora una
volta ago della bilancia, avere voce in capitolo nelle scelte politiche del
prossimo futuro.
L’Italia deve capire cosa vuole fare e se vuole cambiare: nel 2013, a detta
di alcuni economisti, si sarà quella che è stata definita la tempesta perfetta,
con la più violenta manifestazione degli effetti della crisi.
Non possiamo permetterci
ritorni al passato, promesse roboanti, sorrisi smaglianti e ottimismo fumoso:
l’Italia ha bisogno di scelte serie e scomode, per tornare finalmente
all’ottimismo della ragione, l’ottimismo di chi è forte, l’ottimismo di chi è
sicuro di se
giovedì 21 giugno 2012
Un sogno chiamato €uropa
di Lettera 22
Come spettri del passato, si sente nuovamente parlare di
lira, dracma, peseta… C’è addirittura chi parla di SEuro e di NEuro,
ipotizzando in un futuro non così remoto una doppia valuta, una per i Paesi più
diligenti del Nord Europa, ed un’altra per i Paesi con i conti meno in ordine
del Sud Europa. Era intorno a Maggio 2010 quando i mercati finanziari
cominciarono a riprezzare i rendimenti dei titoli di Stato dei diversi Paesi
appartenenti all’Unione Monetaria in virtù dei rispettivi indicatori
macroeconomici. In quel momento un faro fu puntato sull’Eurozona e non ci volle
molto ad accorgersi che, al di là di un’unità monetaria sancita da una moneta
unica, i Paesi adottanti l’Euro soffrivano e soffrono di enormi disparità
fiscali ed economiche che rendono la struttura Europa troppo fragile.
L’argomento è noto. I politici europei conosco bene la
malattia, ma sono da 2 anni alla ricerca della medicina. L’unica medicina che finora
è stata somministrata al malato sono stati gli aiuti derivanti dalla BCE o dal
EFSF. Quindi sostanzialmente noi stessi cittadini europei ci siamo messi le
mani in tasca per aiutare l’Europa stessa. Nello specifico, a noi cittadini
italiani gli aiuti sino ad ora erogati sono costati circa 50 miliardi di euro. La
medicina chiaramente non ha funzionato. Il malato è sembrato star meglio per
2/3 settimane, salvo poi ricadere nella crisi più totale.. Sono cambiati solo
gli interpreti, una volta l’Irlanda, una volta la Spagna, una volt la Grecia,
una volta l’Italia, ma la malattia è sempre la stessa. Oggi più che mai ci
sentiamo sull’orlo del precipizio. Questo fine settimana le elezioni in Grecia
sembrano rappresentare uno spartiacque tra una soluzione ancora possibile
(l’eventuale vittoria di Samaras consentirebbe alla Grecia di restare ancora
nell’euro?) o l’inevitabile deriva (Tsipras, capo della sinistra radicale
Syriza e principale avversario di Samaras, considera carta straccia l'intesa
sui tagli e le misure economiche concordata con la Troika).
Se anche l’elezioni in Grecia dovessero avere un risultato €uro-oriented
e se l’ultimo salvataggio di 100 miliardi di € indirizzato alle banche spagnole
dovesse avere un effetto rassicurante nei confronti dei mercati non potremmo
certo dire che la crisi dell’eurozona è finita. Anzi, ahinoi è molto probabile
che le prossime vittime delle manovre speculative – derivanti in gran parte
dalle grandi potenze economiche al di là dell’Oceano – potrebbero essere i
titoli del debito pubblico italiano.
Il vero problema di questa crisi è che siamo di fronte non
tanto ad una crisi degli Stati dell’Eurozona, ma siamo di fronte ad una crisi
dell’Eurozona stessa. L’Europa, così come è concepita oggi è semplicemente un
unione di Stati che adottano una stessa moneta ma che non adottano misure e
politiche tra loro coordinate. La mancanza di figure di riferimento a livello
europeo che dovrebbero aver preso la situazione in mano negli ultimi due anni è
palese. Fino ad ora l’europa è stata governata dal duo Merkel-Sarkozy che,
ragionando, da guide di singoli Paesi e non da guide europee si sono sempre
opposti a misure collettive europee nelle quali Paesi più virtuosi come
Germania e Francia si sarebbero trovati a pagare per Paesi meno virtuosi come
Grecia, Irlanda e Spagna. Quest’impostazione, dettata indubbiamente anche da
una manovra di campagna elettorale in previsione dall’avvicinarsi delle
elezioni politiche in Francia e Germania, ha portato nell’area euro a cambi di
governo, manovre pesantissime nei confronti dei cittadini (in Italia se ne
contano ben 2 tra Agosto e Novembre). Soluzioni che si sono dimostrate
temporanee, salvo poi il riacutizzarsi di nuovo delle solite tensioni. Un
esempio su tutti: Mario Monti è stato incaricato di formare un unovo Governo il
9 Novembre 2011, con lo spread sui titoli decennali che superava i 500 punti
base ed un tasso di rifinanziamento su brevi scadenze dei nostri titoli di
Stato pari al 7%. Oggi il nostro Stato non emette a brevissimo al 7%, ma lo spread
sui titoli decennali è aumentato di nuovo pericolosamente.
L’Europa è ferma da 2 anni davanti ad una crisi di
dimensioni enormi, principalmente per la continua opposizione della Germania e
del suo cancelliere Angela Merkel, che si oppone a meccanismi collettivi nei
quali la Germania, in questo momento dovrebbe pagare anche per Stati che hanno
i conti meno in ordine. Il meccanismo degli Eurobond, dell'european stablity
mechanism (ESM) non sono ancora stati definiti semplicemente perché non c’è
accordo sulle misure di contribuzione dei Singoli Stati. Da parte di tutti i
cittadini c’è la sensazione che si stia giocando ad un gioco troppo pericoloso,
che si stai tirando troppo la corda.
Senza considerare che gli altri Paesi sforzi enormi li hanno
fatti, chiedere per conferma ai cittadini italiani, spagnoli o irlandesi. Gli
Stati più virtuosi, quali Germania e Francia, non possono restare insensibili a
quanto fatto sino ad ora al di fuori dei propri confini nazionali e dovrebbero
con senso di responsabilità rivedere le proprie posizioni.
A questo punto occorre forse porre una domanda: ma se fosse
proprio la Germania, che con il suo atteggiamento ostruzionista sta creando i
presupposti per la disgregazione della moneta unica, ad uscire dall’Euro? Se
oggi la Germania tornasse al marco sarebbe ancora l’economia più florida
dell’area Euro? Se oggi la Germania
dovesse uscire dall’euro e tornare ipoteticamente al marco, la sua valuta
sarebbe così forte che avrebbe un tracollo in tutte le esportazioni delle sue
eccellenze, a partire dalle automobili, sino ad arrivare agli elettrodomestici,
i macchinari industriali, ecc… La magnifica macchina produttiva tedesca non
trova il suo maggior consumatore nel mercato domestico, bensì nell’export. Ma
in uno scenario in cui i costi di importazione (per i Paesi che importano dalla
Germania) improvvisamente aumentassero del 40%, 60%, 80% o addirittura 100%
l’economia tedesca sarebbe messa in ginocchio nel giro di brevissimo tempo.
Non sarebbe forse il caso che i vari capi di Stato degli
altri Paesi dell’area euro si facciano più coraggio e aumentino il loro peso
specifico in sede di incontri/colloqui quando sono chiamati a cercare delle
soluzioni condivise per salvare non dei singoli Stai ma l’Europa intera?
Perché in fondo, se non cominciamo a pensare che esista
l’Europa e che nei confronti delle altre potenze mondiali occorre comportarsi
da Europa, l’Europa stessa è solo un sogno destinato a rimanere tale…
venerdì 15 giugno 2012
Non per altro
di Un Luigi Qualunque
La grande paura è che torni tutto come (peggio di) prima.
La grande paura è che torni tutto come (peggio di) prima.
I partiti oramai bolliti e mal visti dalla maggioranza dei cittadini cercano riparo dietro il
paravento del governo tecnico, incaricato di attuare misure dure e depressive
per salvare il salvabile. La politica che non sa fare politica certifica il suo fallimento delegando
la non politica nell’amministrazione della cosa pubblica; peggio ancora, prospettando
l’eventualità di un Monti bis dopo il 2013: come dire, fallimento e veglia
funebre della politica, per se stessa.
Nel frattempo, i leader dei principali partiti italiani (o almeno credono di esserlo) passano da un
vertice all’altro, da una foto all’altra, da un quadretto di famiglia all’altro
(e annessa foto per twitter), il tutto per il bene del paese, ma poi nei voti in Parlamento, nelle polemiche e nel teatrino quotidiano
il rinnovamento di facciata, auspicato e sbandierato, è tradito e accantonato.
Il Governo in carica suscita sentimenti contrastanti nell’opinione
pubblica: da una parte la sensazione di un atteggiamento diverso, dai
comportamenti e toni finalmente istituzionali, francamente (e finalmente) da democrazia occidentale, nonché la percezione
di persone che stiano operando responsabilmente, indipendentemente dal merito
delle scelte criticabili o no, da ciascuno di noi, come giusto che sia (non sono i depositari del sapere). Un'attività di governo che si svolge, pur in un contesto difficile, in modo assolutamente fisiologico, con un dibattito in cui ci si chiede soltanto (finalmente!) se sia giusto o
sbagliato un provvedimento, se sia efficace o non l’operato di un ministro e non se sia legale o non legale, imbarazzante o
non imbarazzante. (vedi storia d’Italia degli ultimi quindici anni.)
Dall’altra, le durissime misure anti crisi, la percezione che qualcosa che
accade intorno a noi possa travolgerci (vedi Grecia e Spagna), sta sicuramente fiaccando la resistenza degli italiani assediati su ogni fronte.
La paura è che dal 2013 quel minimo di luce (istituzionale) che si sta
vedendo in questi mesi, scompaia, per il ritorno galoppante dei soliti partiti
e partititi, dei soliti segretari di partito e capogruppi, dei soliti noti,
delle varie parentopoli, puttanopoli, tangentopoli, affittopoli, tutto
rigorosamente a loro (e soprattutto nostra) insaputa.
Allora uno ha la ingenua speranza che ciò non accada, che le cose possano
essere diverse, per soddisfare quella aspettativa diffusa tra tanti, di poter
abitare in un paese normale. Non per altro.
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