Parole di Un Luigi qualunque + altri amici: loSchiacciasassi; Lettera22; SymonaP.

giovedì 30 agosto 2012

Dei delitti e delle pene (e delle carceri)



di Un Luigi qualunque

La storia che in Italia nessuno va in galera è una balla colossale.
Ad oggi i detenuti nelle patrie galere sono circa 67.444 e il dato è  in continua crescita.
Il problema del sovraffollamento è gravissimo: celle concepite per ospitare due detenuti, utilizzate per 4/6 persone, con ovvi problemi di spazio e igiene.
Il sovraffollamento delle strutture rende gravosissimo ed esasperante anche il lavoro del personale (agenti di custodia, medici) dell’amministrazione penitenziaria: gli agenti, ad esempio, sono in numero insufficiente per gestire il gran numero di detenuti e i loro umori  causati dalle condizioni di vita, con gravi problemi di ordine interno, e livelli di stress altissimi. Problemi che lamentano da tempo.
Quindi, un doppio problema: da una parte, detenuti che alla sanzione della privazione della libertà personale vedono aggiungersi quella accessoria della perdita della dignità, poiché costretti a vivere come bestie, nell’ozio più totale quando non si trovano nelle rare strutture di eccellenza. (Vedi ad esempio Bollate).
Dall’altra, la Polizia penitenziaria e altro personale a supporto è costretto a turni massacranti, compiti fuori dalle normali competenze, il tutto per garantire la vita regolare e dignitosa dei detenuti.
Quello della situazione carceraria italiana è talvolta considerato un tema secondario: troppo spesso si considera come dovuto il surplus di sofferenza inflitta al detenuto e a catena, al personale di servizio: buttare via la chiave è la frase di rito; ma il recupero di un detenuto è qualcosa che può giovare al sistema paese: per ciò che viene commesso, è sacrosanta la detenzione quando prevista dalla legge; ma il recupero sociale è altrettanto fondamentale: che forze fisiche e intellettuali si perdano perchè non recuperate, è un aspetto negativo, per tutti. Il momento del carcere come fondamentale retribuzione per il torto causato, deve essere l’occasione per il recupero di quelle forze che poi potranno essere iniettate nel sistema paese, per il bene di tutti. Ciò non può accadere in strutture sovraffollate, dove le attività di base della vita dormire – mangiare – lavarsi è difficoltosa, figuriamoci se è possibile attivare percorsi di rieducazione adeguati.
Senza considerare che la situazione di malessere dei detenuti si riflette anche sul personale, a sua volta comunque rinchiuso, per le ore del servizio, fianco a fianco con i detenuti.

È di queste ore la notizia dell’ennesimo suicidio di un detenuto, il 36esimo dall’inizio del 2012: tantissimi casi ogni anno, da qualche tempo anche tra gli agenti della polizia penitenziaria, a contatto con tali situazioni di stress. Non è accettabile, in uno paese civile e di diritto, che lo Stato stesso con la sua inerzia agisca quasi come un aguzzino, come quei criminali che intende perseguire, creando le condizioni che determinano tale esasperazione e male di vivere, precondizioni di gesti estremi.
La pena è fondamentale e non è qui messa in dubbio; che il carcere in quanto tale determini delle reazioni di disagio come qualsiasi condizione di privazione della libertà personale appare fisiologico; ma non è concepibile che il periodo di detenzione sia anche un periodo di disumanizzazione, con effetti catastrofici sulla salute dei detenuti, creando anche effetti criminogeni che inficiano il percorso rieducativo, con il risultato finale di restituire alla società, a fine pena, potenziali recidivi: più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione scriveva Cesare Beccaria nel suo Dei Delitti e Delle Pene. Parole sacrosante, ma la cui attuazione richiede impegno e serietà.
Inoltre, il reinserimento è reso anche complesso per l’ostilità che gli ex detenuti trovano uscendo di carcere, da parte di una collettività non pronta ad accogliere chi ha sbagliato, certamente, ma ha anche pagato, però.
Insomma la pena non deve essere una violenza contro un cittadino, che chiaramente ha commesso degli errori e deve sottoporsi ad una sacrosanta detenzione: ma la sua condanna riguarda i suoi comportamenti e non la persona in quanto tale, che va sempre tutelata: in un Stato di diritto non esiste la tortura, la vendetta; la differenza con i criminali deve essere anche culturale: si applica una sanzione prevista da una legge e non la legge del taglione, perché in quanto cittadini intendiamo marcare anche una differenza culturale con chi delinque, con chi fa del male; per le stesse ragioni, si garantisce la dignità di chi ha sbagliato ed è affidato all’attenzione e alla custodia di strutture pubbliche, allorché punitive.
Se siamo diversi dai soggetti che intendiamo perseguire, come Stato - comunità, è il caso non solo di comportarci diversamente da chi non approviamo, perché mette in atto comportamenti illegali, ma è necessario  anche pensare diversamente, cominciando a non tollerare o appoggiare comportamenti e condizioni che sembrano più da aguzzino che da legittimo persecutore.

domenica 19 agosto 2012

Londra 2012: le medaglie italiane sono 29



di Lettera22


La meraviglia Olimpica si è confermata anche a Londra. Poco meno di 20 giorni pieni di sport, d’agonismo, di competizione, di sudore, impegno, concentrazione, di emozioni. Tutto per una medaglia, per salire sul podio e poter indossare al collo una medaglia olimpica. Magari dopo anni di allenamenti, contro avversari provenienti da qualsiasi parte del mondo. Perché le Olimpiadi hanno quel fascino particolare.. quello che ti tiene incollato al televisore a seguire uno sport del quale nemmeno sapevi l’esistenza, a tifare un’atleta del quale non conosci nemmeno il nome. Ti prende, ti seduce, conquista la tua attenzione.. e poi ti abbandona.. ti saluta e ti da appuntamento a fra 4 anni. Succede ogni volta, ed ogni volta ha un fascino particolare. L’Olimpiade appena conclusa è stata un grande, grandissimo evento di sport. Gli atleti partecipanti sono stati 10.973 (6.113 uomini e 4.860 donne), in rappresentanza delle 205 nazioni partecipanti. In mezzo a questi numeri un’eterogeneità di storie incredibile, si va dai 530 atleti statunitensi ai 380 atleti cinesi, dai 542 atleti del Regno Unito ai 290 atleti italiani fino ad arrivare ai 4 Atleti Olimpici Indipendenti, i 2 atleti del Bhutan, i 2 della Guinea equatoriale, i 3 del Malawi… Insomma, persone diverse, con storie diverse, provenienti da ogni parte del mondo, a competere tutti sullo steso piano per la stessa medaglia. L’atleta del paese più ricco contro l’atleta del paese più povero, la colonia contro il Paese conquistatore, l’atleta cristiano contro il musulmano, tutti a sudare allo stesso modo per la stessa medaglia. Perché in fondo lo sport, nella storia, è sempre stato il veicolo più efficace per messaggi di uguaglianza di fratellanza, di solidarietà. Molto di più di qualsiasi azione diplomatica.
Sono state Olimpiadi bellissime, sono state le olimpiadi di 44 nuovi record mondiali, di 117 nuovi record olimpici. Sono state le olimpiadi degli Stati Uniti, primi nel medagliere con 104 medaglie (46 d’oro, 29 d’argento, 29 di bronzo), che portano il bottino delle medaglie statunitensi nella storia dei giochi olimpici a 2.411, più di chiunque altro.
Tra gli atleti statunitensi una menzione merita Michael Phelps, l’atleta più medagliato di queste olimpiadi con 6 medaglie, ed il più medagliato nella storia dei giochi con ben 22 medaglie.
Un’altra menzione, inevitabile, va all’uomo immagine di queste olimpiadi, Usain Bolt, medaglia d’oro nei 100 mt, nei 200 mt e nella staffetta 4x100, fenomenale nel riuscire a conquistare 3 ori in alcune delle discipline più attese, ma ancor di più nel riuscire a ripetersi ed a confermarsi dopo i 3 ori nelle stesse specialità Pechino 2008.
Sono state 18 le nazioni che hanno vinto una sola medaglia e che meritano anch’esse di essere menzionate: Algeria, Bahamas, Grenada, Uganda, Venezuela, Botswana, Cipro, Gabon, Guatemala, Montenegro, Portogallo, Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrain, Hong Kong, Kuwait, Marocco, Tagikistan.
L’Italia alla fine dei giochi si è posizionata all’8° posto del medagliere, con 8 medaglie d’oro, 9 argenti e 11 bronzi, per un totale di 28 medaglie.
Per quanto riguarda le medaglie d’oro la parte del leone è stata fatta dai c.d. “sport di precisione”, quali tiro con l’arco (Michele Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli), tiro a segno (Niccolò Campriani) e tiro a volo (Jessica Rossi). La scuola italiana di scherma non ha deluso né in campo femminile né in campo maschile (Elisa di Francisca, Arianna Errigo, Valentina Vezzali, Ilaria Salvatori, Valerio Aspromonte, Andrea Baldini, Giorgio Avola e Andrea Cassarà). Medaglie d’oro, infine, anche per Daniele Molmenti nella canoa e per Carlo Molfetta nel Taekwondo.
Al medagliere dell’Italia manca sicuramente una medaglia, la 29° - indiscutibilemte d’oro – che appartiene non ad un atleta in particolare, ma a tutti gli sportivi da divano e, soprattutto, da bar: la medaglia d’oro nel gioco al massacro. Questa particolare competizione ha visto gli italiani partecipi in 2 occasioni: contro la squadra azzurra del nuoto ed in particolare contro Filippo Magnini e Federica Pellegrini ed, in secondo luogo, contro Alex Schwazer.
Si sa… l’italiano medio è sempre in prima fila quando si tratta di fare “chiacchere da bar”. Ovvero quelle situazioni in cui un pensiero superficiale e populista, di quelli che ti fanno sentir dire “bè hai ragione”, prendono il sopravvento. Mai le chiacchere da bar hanno una connotazione positiva.. è sempre più difficile argomentare le lodi di qualcuno piuttosto che argomentare gli insulti rivolti a qualcuno, specialmente se quel qualcuno è in una situazione di difficoltà. Ed allora poco importa se la Pellegrini e Magnini vantano insieme qualcosa come 7 ori, 3 argenti e 1 bronzo tra olimpiadi e mondiali. La loro storia d’amore è una motivazione abbastanza valida per fare della facile ironia su dei risultati non troppo brillanti a Londra 2012. Senza dimenticare che non sono stati solo loro due a non raggiungere i risultati sperati, ma tutta la squadra azzurra ha completamente deluso. Forse Magnini aveva ragione a dire che la preparazione è stata sbagliata? No, no.. disquisire di preparazione è troppo tecnico e noioso, è più facile e divertente nell’ambiente “da bar” spiegare i mancati risultati con la loro relazione.
Discorso un po’ diverso è quello di Schwazer. Ha provato ad imbrogliare ed ha deluso tutti, i suoi tifosi, i suoi cari, i suoi genitori, il suo allenatore, la sua fidanzata, ma soprattutto sé stesso. Anche qui il qualunquismo ed il populismo l’hanno fatta da padrone. In pochi secondo me, dopo aver appurato la sua positività alle sostanze dopanti, hanno speso 15 minuti della loro vita ad ascoltare ciò che aveva da dire a riguardo di questa triste storia. L’immagine di Schwazer che è uscita dalla conferenza stampa è l’immagine di un ragazzo debole, non di un supereroe atleta invincibile disposto a tutto pur di ottenere una medaglia. Sembrava più che altro un ragazzo che non è stato in grado di reggere le pressioni che aveva addosso e che lui stesso ha contribuito a creare. Ben presto il peso del suo imbroglio lo ha sotterrato, tanto da autocondannarsi effettuando un test antidoping pur sapendo di essere positivo, quando (regolamento alla mano) poteva evitare il test stesso. Si è consegnato alla giustizia sportiva e, in un secondo momento, si è presentato in sala stampa, mettendo la faccia davanti al suo errore. L’errore resta, ma errare fa parte della natura umana. Gli organi preposti saranno chiamati a giudicarlo ed ad infliggergli la giusta pena.
Io da persona civile e razionale non posso che rispettare l’uomo nella sua umanità, non posso che rispettare il ragazzo che, evidentemente, ha dei problemi e che è caduto in errore. Non me la sento di puntare il dito contro di lui, perché il dito contro se lo è puntato da solo, ed è stato il gesto più importante.

Infine, non dimentichiamo che se la Pellegrini o Magnini avessero portato a casa delle medaglie, o se Schwazer fosse riuscito ad eludere i controlli ed avesse ripetuto l’impresa di Pechino, vincendo un nuovo oro olimpico, negli stessi bar dove sono stati demoliti, questi ragazzi probabilmente sarebbero stati osannati come dei Campioni veri.
Ed allora sì.. le medaglie italiane non sono 28… sono 29.

mercoledì 15 agosto 2012

L’Articolo 21 della Costituzione vale anche per i magistrati?


di Un Luigi qualunque


E’ di queste settimane la notizia che a carico del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta il Dottor Roberto Scarpinato, è stata aperta presso il CSM una pratica per il suo trasferimento d’ufficio e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di presidenza del CSM alla Procura generale presso la Corte di Cassazione per eventuali iniziative disciplinari. Il tutto a seguito di un suo intervento pubblico, nel corso delle celebrazioni in ricordo della strage di Via D’Amelio
Il Procuratore ha richiamato, in una lettera a Paolo Borsellino, le responsabilità di chi ipocritamente celebrea i magistrati antimafia ma poi, a vario titolo e in vario modo, fa del male, a suo parere, al Paese, con comportamenti e azioni così diverse da quelle di Paolo Borsellino e altri uomini che servendo lo Stato hanno posto il loro interesse dopo quello della collettività.
Ancora una volta il tema della libertà di espressione torna alla ribalta, in particolare quando a parlare è un magistrato. E non poco rovente, come al solito, il dibattito che ne è scaturito; e non pochi colororo che hanno strumentalizzato la questione.
La critica, il dibattito non si è focalizzato sul merito dell’intervento di Scarpinato, nei confronti  del quale ciascuno trae le proprie riflessioni e conclusioni, la polemica si è focalizzata sull’opportunità o meno, e per ciò solo, di fare certe considerazioni.
Forse è strano considerare che la libertà di espressione possa valere per tutti, criminali, nemici, amici... e anche per i magistrati? essere magistrato contiene un inevitabile rinuncia o limitazione di certi diritti?
Si dice in questi casi è una ragione di opportunità, il magistrato deve essere imparziale e sembrare imparziale; certo, ma un magistrato è un cittadino che parla e pensa come chiunque altro, che ha delle idee e le manifesta con i più diversi strumenti, come qualsiasi altro cittadino. Cosa diversa sono le idee e considerazioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni, nell’espletamento delle quali il magistrato parla per mezzo degli atti che emette (tipizzati dal codice di rito): è quello lo strumento con il quale il magistrato comunica nell’esercizio delle sue funzioni ed è attraverso tali atti che i cittadini verificano l’imparzialità, la chiarezza, la perizia tecnica e scientifica del magistrato. Come di solito è fatto per qualsiasi professionista: che il proprio medico di famiglia abbia idee reazionarie o progressiste poco interessa; ciò che ci si aspetta da lui è che sia scientificamente preparato e che i suoi atti (prescrizioni, diagnosi, ecc) siano corrette.
I magistrati come chiunque altro cittadino hanno diritto di esprimersi come meglio ritengono, ex art. 21 Cost e nei limiti dei diritti altrui, come accade per chiunque, esponendosi alla critica nell’ambito della normale dialettica democratica.
L'idea che essere magistrati possa voler significare avere un po’ meno libertà di espressione (autoimposta o non) francamente non convince.
La magistratura in quanto tale è assolutamente criticabile, come chiunque e qualsiasi cosa lo è in democrazia: ma la critica, la discussione deve avvenire nel merito delle cose, argomentando i punti di vista; se si riduce a critica "di principio" è poco seria, è poco credibile.
La politica, una certa politica, che come al solito non si lascia sfuggire l’occasione per critiche e censure, pare ricadere nella solita cattiva fede: i magistrati sono bravi e ligi al dovere quando si occupano degli altri; diventano pericolosi e sovversivi quando parlano, si occupano, indagano, riflettono, su (certi) colletti bianchi.

venerdì 27 luglio 2012

Il Caimano tecnico


di Un Luigi qualunque


Nelle ultime settimane il Cav ha manifestato la volontà di scendere in campo (ma era andato via?), presentandosi come candidato del c.d. centro destra. La notizia sorprende, soprattutto alla luce dei risultati precedenti : i  Governi Berlusconi non hanno prodotto in tanti anni quella rivoluzione e innovazione dello Stato che era stata promessa
Indipendentemente dai giudizi personali, è politicamente che il Cav ha fallito. Serenamente, si potrebbero trarre le opportune conseguenze: è il momento di fare un passo indietro, di fare spazio, a maggior ragione in un periodo in cui tutti si riempiono la bocca con lo slogan largo ai giovani , appare difficile comprendere come può un 74enne guidare ancora il Paese, come può un 74enne progettare adeguatamente un futuro che, per ragioni anagrafiche, non vedrà.
Per il PDL un’altra occasione persa: i programmi di Alfano, da meno di un anno nominato segretario politico del partito, sono andati in fumo. In questi mesi si è discusso delle primarie,dei congressi, della democrazia interna e poi, con un comunicato stampa , i titoli di LIBERO e IL GIORNALE, le dichiarazioni dei fedelissimi, tutto è stato spazzato via in un attimo, mettendo da parte il segretario per fare largo al capo.
 Un’altra occasione persa per trasformare il PDL, da partito carismatico, a  moderno partito conservatore europeo. Eppure sui buoni propositi di Angelino  non ho dubbi: l’intenzione di cambiare le cose c’era, ma l’abitudine ad avere il capo chino nel PDL, ad assecondare il capo sempre e comunque, a non contrastarlo con un sano contraddittorio (come si fa con i veri amici) hanno fatto perdere un’altra occasione
Le intenzioni di B sono chiare; nella sua scelta c’è la consapevolezza che senza di lui il PDL subirebbe una sonora batosta alle prossime elezioni politiche ; ecco il perché del suo intervento: la possibilità di recuperare qualche punto percentuale, ma non per vincere: nel  partito sanno che questa non è una prospettiva concreta; lo scopo è non perdere, riuscire a recuperare qualche voto così da essere nelle condizioni di partecipare ad un nuovo  Governo di larghe intese, un nuovo governo tecnico,unica alternativa nel caso il risultato delle urne delineasse uno scenario politico frammentato e senza una forte maggioranza in grado di esprimere un Governo; questo è lo scopo,  risultare diversamente vincente,  essere ancora una volta ago della bilancia, avere voce in capitolo nelle scelte politiche del prossimo futuro.
L’Italia deve capire cosa vuole fare e se vuole cambiare: nel 2013, a detta di alcuni economisti, si sarà quella che è stata definita la tempesta perfetta, con la più violenta manifestazione degli effetti della crisi.
Non possiamo permetterci ritorni al passato, promesse roboanti, sorrisi smaglianti e ottimismo fumoso: l’Italia ha bisogno di scelte serie e scomode, per tornare finalmente all’ottimismo della ragione, l’ottimismo di chi è forte, l’ottimismo di chi è sicuro di se

giovedì 21 giugno 2012

Un sogno chiamato €uropa


di Lettera 22


Come spettri del passato, si sente nuovamente parlare di lira, dracma, peseta… C’è addirittura chi parla di SEuro e di NEuro, ipotizzando in un futuro non così remoto una doppia valuta, una per i Paesi più diligenti del Nord Europa, ed un’altra per i Paesi con i conti meno in ordine del Sud Europa. Era intorno a Maggio 2010 quando i mercati finanziari cominciarono a riprezzare i rendimenti dei titoli di Stato dei diversi Paesi appartenenti all’Unione Monetaria in virtù dei rispettivi indicatori macroeconomici. In quel momento un faro fu puntato sull’Eurozona e non ci volle molto ad accorgersi che, al di là di un’unità monetaria sancita da una moneta unica, i Paesi adottanti l’Euro soffrivano e soffrono di enormi disparità fiscali ed economiche che rendono la struttura Europa troppo fragile.
L’argomento è noto. I politici europei conosco bene la malattia, ma sono da 2 anni alla ricerca della medicina. L’unica medicina che finora è stata somministrata al malato sono stati gli aiuti derivanti dalla BCE o dal EFSF. Quindi sostanzialmente noi stessi cittadini europei ci siamo messi le mani in tasca per aiutare l’Europa stessa. Nello specifico, a noi cittadini italiani gli aiuti sino ad ora erogati sono costati circa 50 miliardi di euro. La medicina chiaramente non ha funzionato. Il malato è sembrato star meglio per 2/3 settimane, salvo poi ricadere nella crisi più totale.. Sono cambiati solo gli interpreti, una volta l’Irlanda, una volta la Spagna, una volt la Grecia, una volta l’Italia, ma la malattia è sempre la stessa. Oggi più che mai ci sentiamo sull’orlo del precipizio. Questo fine settimana le elezioni in Grecia sembrano rappresentare uno spartiacque tra una soluzione ancora possibile (l’eventuale vittoria di Samaras consentirebbe alla Grecia di restare ancora nell’euro?) o l’inevitabile deriva (Tsipras, capo della sinistra radicale Syriza e principale avversario di Samaras, considera carta straccia l'intesa sui tagli e le misure economiche concordata con la Troika).
Se anche l’elezioni in Grecia dovessero avere un risultato €uro-oriented e se l’ultimo salvataggio di 100 miliardi di € indirizzato alle banche spagnole dovesse avere un effetto rassicurante nei confronti dei mercati non potremmo certo dire che la crisi dell’eurozona è finita. Anzi, ahinoi è molto probabile che le prossime vittime delle manovre speculative – derivanti in gran parte dalle grandi potenze economiche al di là dell’Oceano – potrebbero essere i titoli del debito pubblico italiano.
Il vero problema di questa crisi è che siamo di fronte non tanto ad una crisi degli Stati dell’Eurozona, ma siamo di fronte ad una crisi dell’Eurozona stessa. L’Europa, così come è concepita oggi è semplicemente un unione di Stati che adottano una stessa moneta ma che non adottano misure e politiche tra loro coordinate. La mancanza di figure di riferimento a livello europeo che dovrebbero aver preso la situazione in mano negli ultimi due anni è palese. Fino ad ora l’europa è stata governata dal duo Merkel-Sarkozy che, ragionando, da guide di singoli Paesi e non da guide europee si sono sempre opposti a misure collettive europee nelle quali Paesi più virtuosi come Germania e Francia si sarebbero trovati a pagare per Paesi meno virtuosi come Grecia, Irlanda e Spagna. Quest’impostazione, dettata indubbiamente anche da una manovra di campagna elettorale in previsione dall’avvicinarsi delle elezioni politiche in Francia e Germania, ha portato nell’area euro a cambi di governo, manovre pesantissime nei confronti dei cittadini (in Italia se ne contano ben 2 tra Agosto e Novembre). Soluzioni che si sono dimostrate temporanee, salvo poi il riacutizzarsi di nuovo delle solite tensioni. Un esempio su tutti: Mario Monti è stato incaricato di formare un unovo Governo il 9 Novembre 2011, con lo spread sui titoli decennali che superava i 500 punti base ed un tasso di rifinanziamento su brevi scadenze dei nostri titoli di Stato pari al 7%. Oggi il nostro Stato non emette a brevissimo al 7%, ma lo spread sui titoli decennali è aumentato di nuovo pericolosamente.
L’Europa è ferma da 2 anni davanti ad una crisi di dimensioni enormi, principalmente per la continua opposizione della Germania e del suo cancelliere Angela Merkel, che si oppone a meccanismi collettivi nei quali la Germania, in questo momento dovrebbe pagare anche per Stati che hanno i conti meno in ordine. Il meccanismo degli Eurobond, dell'european stablity mechanism (ESM) non sono ancora stati definiti semplicemente perché non c’è accordo sulle misure di contribuzione dei Singoli Stati. Da parte di tutti i cittadini c’è la sensazione che si stia giocando ad un gioco troppo pericoloso, che si stai tirando troppo la corda.
Senza considerare che gli altri Paesi sforzi enormi li hanno fatti, chiedere per conferma ai cittadini italiani, spagnoli o irlandesi. Gli Stati più virtuosi, quali Germania e Francia, non possono restare insensibili a quanto fatto sino ad ora al di fuori dei propri confini nazionali e dovrebbero con senso di responsabilità rivedere le proprie posizioni.
A questo punto occorre forse porre una domanda: ma se fosse proprio la Germania, che con il suo atteggiamento ostruzionista sta creando i presupposti per la disgregazione della moneta unica, ad uscire dall’Euro? Se oggi la Germania tornasse al marco sarebbe ancora l’economia più florida dell’area Euro?  Se oggi la Germania dovesse uscire dall’euro e tornare ipoteticamente al marco, la sua valuta sarebbe così forte che avrebbe un tracollo in tutte le esportazioni delle sue eccellenze, a partire dalle automobili, sino ad arrivare agli elettrodomestici, i macchinari industriali, ecc… La magnifica macchina produttiva tedesca non trova il suo maggior consumatore nel mercato domestico, bensì nell’export. Ma in uno scenario in cui i costi di importazione (per i Paesi che importano dalla Germania) improvvisamente aumentassero del 40%, 60%, 80% o addirittura 100% l’economia tedesca sarebbe messa in ginocchio nel giro di brevissimo tempo.
Non sarebbe forse il caso che i vari capi di Stato degli altri Paesi dell’area euro si facciano più coraggio e aumentino il loro peso specifico in sede di incontri/colloqui quando sono chiamati a cercare delle soluzioni condivise per salvare non dei singoli Stai ma l’Europa intera?
Perché in fondo, se non cominciamo a pensare che esista l’Europa e che nei confronti delle altre potenze mondiali occorre comportarsi da Europa, l’Europa stessa è solo un sogno destinato a rimanere tale…

venerdì 15 giugno 2012

Non per altro

di Un Luigi Qualunque


La grande paura è che torni tutto come (peggio di) prima.
I partiti oramai bolliti e mal visti dalla maggioranza dei cittadini cercano riparo dietro il paravento del governo tecnico, incaricato di attuare misure dure e depressive per salvare il salvabile La politica che non sa fare politica certifica il suo fallimento delegando la non politica nell’amministrazione della cosa pubblica; peggio ancora, prospettando l’eventualità di un Monti bis dopo il 2013: come dire, fallimento e veglia funebre della politica, per se stessa. 
Nel frattempo, i leader dei principali partiti italiani (o almeno credono di esserlo) passano da un vertice all’altro, da una foto all’altra, da un quadretto di famiglia all’altro (e annessa foto per twitter), il tutto per il bene del paese, ma poi nei voti in Parlamento, nelle polemiche e nel teatrino quotidiano il rinnovamento di facciata, auspicato e sbandierato, è tradito e accantonato.
Il Governo in carica suscita sentimenti contrastanti nell’opinione pubblica: da una parte la sensazione di un atteggiamento diverso, dai comportamenti e toni finalmente istituzionali, francamente (e finalmente) da democrazia occidentale, nonché la percezione di persone che stiano operando responsabilmente, indipendentemente dal merito delle scelte criticabili o no, da ciascuno di noi, come giusto che sia (non sono i depositari del sapere). Un'attività di governo che si svolge, pur in un contesto difficile, in modo assolutamente fisiologico, con un dibattito in cui ci si chiede soltanto (finalmente!) se sia giusto o sbagliato un provvedimento, se sia efficace o non l’operato di un ministro e non se sia legale o non legale, imbarazzante o non imbarazzante. (vedi storia d’Italia degli ultimi quindici anni.)
Dall’altra, le durissime misure anti crisi, la percezione che qualcosa che accade intorno a noi possa travolgerci (vedi Grecia e Spagna),  sta sicuramente fiaccando la resistenza degli italiani assediati su ogni fronte.
La paura è che dal 2013 quel minimo di luce (istituzionale) che si sta vedendo in questi mesi, scompaia, per il ritorno galoppante dei soliti partiti e partititi, dei soliti segretari di partito e capogruppi, dei soliti noti, delle varie parentopoli, puttanopoli, tangentopoli, affittopoli, tutto rigorosamente a loro (e soprattutto nostra) insaputa.
Allora uno ha la ingenua speranza che ciò non accada, che le cose possano essere diverse, per soddisfare quella aspettativa diffusa tra tanti, di poter abitare in un paese normale. Non per altro.